Football = Calcio, innit? No Sir…

This is England, We do things differently here

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Il dono della sintesi, si sa, è merce rara, soprattutto in fase di presentazione.

E’ quindi parafrasando la frase più significativa che abbia letto da quando vivo a Manchester – “This is Manchester, we do things differently here” n.d.r. – che posso “corteggiare” il lettore di questo blog regalandogli l’istantanea migliore di ciò che vorrei raccontare.

Inghilterra, patria natìa del football come oggi lo conosciamo a tutte (o quasi, lasciamo perdere gli americani) le latitudini di questo pianeta. Ma di fatto, che cos’è il football?

In Italia è il CALCIO, la cosa più seria tra le cose poco serie e la meno seria tra quelle serie; lo sport nazionale su cui troppo spesso si scaricano le frustrazioni della vita. Facendo della sociologia spicciola non si può che sposare la tesi di Winston Churchill, secondo il quale “gli italiani perdono le guerre come fossero partite di calcio e le partite di calcio come fossero guerre“, come dargli torto?

Per quanto mi riguarda è da quell’Italia-Nigeria di USA ’94 che mi sono innamorato di questo giochino; mondiali ed europei, campionati nazionali, coppe europee e sudamericane, amichevoli, scandali, vittorie e sconfitte, da ormai 19 anni associo ogni evento della mia vita personale ad una stagione calcistica.

E tra questi eventi come non citare i due anni passati a “Sprint & Sport”.

Sono i weekend in giro per i campi di periferia che mi hanno fatto scoprire il lato “romantico” di questo sport; sebbene non sia mai stato un protagonista attivo del gioco stesso (skills da calciatore non proprio da tramandare ai posteri), in termini assoluti l’ho sempre trovato l’invenzione migliore partorita da mente umana, seconda solo alla ruota.

Pensare addirittura che – per un italiano emigrato da poco – il calcio è la materia più utile studiata nei primi 27 anni di vita, uno dei pochi argomenti di conversazione con il quale introdurre se stessi in una nuova società e farsi nuovi amici, o anche uscire dagli imbarazzi che le lacune linguistiche creano durante una job interview.

Per molti si tratta di 22 esseri umani in mutande che corrono dietro ad una palla. Vero, ma non verissimo, perchè dietro a questa scarna copertina si cela un mondo fatto di luoghi, storie e personaggi capaci di attrarre anche i più scettici nei confronti del “dio pallone”.

Ed è qui in Inghilterra che tutto iniziò, è qui in Inghilterra – o meglio ancora Regno Unito per essere più precisi – che trovano albergo quelle storie senza tempo che rendono il football qualcosa che viene difficile associare a quanto, nel bene o nel male, si vede in Italia. In fondo sono inglesi, e che sia calcio o guida a destra, fanno le cose in maniera diversa da queste parti.

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